Bigenitorialità, soluzioni flessibili per casi complessi: innovativa pronuncia della Corte d’Appello di Firenze

Nella recente sentenza (n. 1048/2025 del 03/06/2025) l’evoluzione giurisprudenziale nell’affidamento, trasferimento di residenza del minore e tutela del principio di bigenitorialità.



Il caso

La vicenda processuale trae origine da una relazione more uxorio, dalla quale nasceva un bambino. La convivenza si interrompeva a causa dell’intollerabilità tra i due genitori, spingendo il padre a rivolgersi al Tribunale di Firenze per ottenere la regolamentazione dell’affidamento, della frequentazione e del mantenimento del minore.

Il padre ricorrente, nel procedimento di primo grado incardinato nel 2021, chiedeva l’affidamento condiviso del figlio con collocamento prevalente presso la madre nonché disciplinarsi il proprio diritto di visita e il mantenimento diretto del minore con la suddivisione paritaria delle spese straordinarie. La madre, resistente, si costituiva in giudizio chiedendo anch’essa l’affidamento condiviso con collocamento prevalente presso di sé, ma richiedendo un contributo mensile da parte del padre di € 1.000,00, oltre al 50% delle spese straordinarie. Il Tribunale, in sede istruttoria, disponeva la consulenza tecnica d’ufficio  al fine di valutare non solo la capacità genitoriale delle parti in causa ma anche per individuare il migliore regime di collocamento del bambino. Le risultanze dell’elaborato peritale evidenziavano una elevata e persistente conflittualità tra le figure genitoriali e il Tribunale, in via prudenziale e nell’interesse del minore, disponeva un monitoraggio di sei mesi da parte dei servizi sociali, periodo questo prorogato ulteriormente, affidando così il minore ai Servizi Sociali territorialmente competenti.  Successivamente, con decreto del luglio 2024, il Tribunale di Firenze disponeva l’affidamento definitivo del minore ai Servizi sociali territorialmente competenti con collocamento prevalente presso la madre,  un articolato calendario di frequentazione del padre durante il periodo scolastico e le vacanze, un contributo mensile del padre di € 350,00 per il mantenimento ordinario, la ripartizione delle spese straordinarie al 60% a carico del padre e 40% della madre, oltre all’attribuzione integrale dell’Assegno Unico Universale alla madre. Sulle spese di lite statuiva in ordine alla compensazione  delle stesse con ripartizione in egual misura tra le parti delle spese di CTU. La madre, proponeva appello impugnando innanzitutto i capi del provvedimento relativi all’affidamento ai Servizi Sociali, e poi alle modalità di frequentazione, al contributo di mantenimento e alle spese di lite. I motivi di gravame riguardavano innanzitutto l’affidamento del minore ai servizi sociali  ritenendo che tale decisione derivasse da una lettura acritica delle conclusioni del CTU  che aveva, secondo l’appellante, in qualche modo alimentato il conflitto genitoriale  anziché risolverlo. L’appellante contestava altresì come la mera conflittualità tra le parti genitoriali potesse giustificare l’affidamento del minore ai Servizi sociali, non avendo il CTU indicato specifici ambiti della incapacità decisionale dei genitori. Sulle modalità di frequentazione, invece, lamentava l’eccessiva fatica del minore dovuta ai continui spostamenti tra le residenze del padre e della madre, denunciando altresì una valutazione economica squilibrata per quanto concerneva la misura dell’assegno di mantenimento a carico del padre poiché sproporzionato e inferiore alle reali capacità reddituali di quest’ultimo. Il padre si costituiva proponendo appello incidentale per ottenere la pariteticità dei tempi estivi, l’alternanza nelle festività natalizie e la riduzione del contributo di mantenimento. Durante il giudizio d’appello, la madre depositava un’istanza urgente per autorizzare il trasferimento del minore, istanza motivata da esigenze lavorative di quest’ultima. Il padre si opponeva all’istanza sostenendo che il trasferimento fosse contrario al principio di bigenitorialità e chiedendo, in subordine, la modifica del collocamento prevalente in suo favore qualora la madre si fosse trasferita. La Corte d’Appello tratteneva la causa in decisione decidendo sia sui motivi di appello che sull’istanza di trasferimento, con la particolare complessità di dover bilanciare le esigenze lavorative della madre, il diritto del minore alla bigenitorialità e l’interesse superiore del bambino di soli anni quattro.


La sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 1048/2025

La sentenza in commento rappresenta un caso emblematico – e al tempo stesso affascinante – di come il diritto di famiglia contemporaneo si trovi oggi a fronteggiare una sfida cruciale: bilanciare il principio di bigenitorialità con l’interesse superiore del minore e i diritti fondamentali dei genitori,  come quello alla libertà di scegliere dove vivere e lavorare. In un contesto sociale in continuo mutamento, dove mobilità geografica e nuove configurazioni familiari diventano sempre più frequenti, il diritto è chiamato ad evolversi. La decisione in esame non solo risponde a questa esigenza di modernizzazione, ma lo fa in modo virtuoso e sorprendente: dimostra che, con intelligenza giuridica e apertura al cambiamento, è possibile trovare un equilibrio tra esigenze apparentemente inconciliabili. Come? Ricorrendo a strumenti innovativi, tra cui le tecnologie digitali, che oggi consentono forme di genitorialità condivisa impensabili fino a pochi anni fa. L’approccio adottato dalla Corte si distingue per una sensibilità concreta e attenta alle reali esigenze dei minori coinvolti, andando ben oltre la rigida applicazione di principi astratti. In linea con l’evoluzione più recente della giurisprudenza, la decisione dimostra come sia possibile affrontare casi complessi con soluzioni flessibili e capaci di tenere conto delle peculiarità di ogni singola situazione. Un esempio virtuoso e potenzialmente replicabile in contesti analoghi che offre un modello equilibrato per gestire i conflitti tra le parti  nella rivendicazione dei propri diritti. Un precedente significativo, dunque, che apre la strada a una giustizia più aderente alla realtà e vicina alle persone.


L’affidamento del minore ai servizi sociali 

La parte più rilevante della pronuncia in esame concerne la riforma della statuizione relativa all’affidamento del minore, originariamente disposto in favore dei servizi sociali, e sostituito dalla Corte con l’affidamento condiviso ai genitori. Come correttamente rilevato dai giudici d’appello, l’art. 337-ter c.c. prevede che l’affidamento condiviso  rappresenti la regola generale nel diritto di famiglia, derogabile solo in presenza di circostanze eccezionali che rendano tale modalità contraria all’interesse del minore. In questo senso, la Corte ha fatto puntuale applicazione del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la mera conflittualità tra i genitori  – pur se significativa – non può, di per sé sola, giustificare l’affidamento del minore ai servizi sociali. Importante, in tal senso, richiamare l’ordinanza n. 24637/2021 della Corte di Cassazione, che chiarisce come non possa ritenersi automaticamente escluso l’affidamento condiviso in presenza di conflitti tra i genitori, poiché ciò ne limiterebbe l’applicazione a casi del tutto residuali, svuotandone di fatto la portata generale. La Corte d’Appello ha quindi valutato correttamente che, nonostante permangano elementi di tensione tra le parti, non sussistevano più le condizioni per mantenere l’affidamento del minore ai servizi sociali, tenuto conto sia delle capacità genitoriali dimostrate da entrambi i genitori sia dell’assenza di pregiudizi concreti a carico del minore  stesso. In tal senso si vuole richiamare anche l’ulteriore pronuncia della Suprema Corte, ordinanza n. 31571/2024, secondo cui la conflittualità, se contenuta entro limiti tollerabili e non pregiudizievoli per l’equilibrio psico-fisico della prole, non costituisce ostacolo all’adozione del regime preferenziale dell’affidamento condiviso.


Il trasferimento di residenza e la tutela del principio di bigenitorialità 

La questione relativa al trasferimento del minore presso l’uno o l’altro genitore si conferma tra i temi centrali – e al contempo più delicati – del diritto di famiglia contemporaneo, in cui il bilanciamento  tra il principio di bigenitorialità e i diritti fondamentali della persona impone un’attenta valutazione del caso concreto. Con orientamento ormai consolidato, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ribadito che il diritto del genitore a determinare liberamente la propria residenza e sede lavorativa  costituisce espressione di libertà personale, tutelata a livello costituzionale  (Cass. civ., ord. n. 5604/2020, tra le altre). In tale ottica, qualsiasi limitazione a tali diritti deve essere giustificata da un concreto e prevalente interesse del minore, e non può fondarsi su mere esigenze astratte di conservazione dello status quo. Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto di dover dare prevalenza al diritto della madre al trasferimento, in quanto motivato da comprovate esigenze lavorative e professionali non eludibili, escludendo che la scelta fosse frutto di valutazioni arbitrarie o dettate da mere convenienze personali.

Al contempo, ha ridefinito il regime frequentazione padre-figlio, prevedendo soluzioni che, seppur adattate alle nuove condizioni logistiche, potessero garantire comunque tempi significativi di relazione tra il minore e il genitore non collocatario. 

Si tratta, dunque, di una decisione che ben esemplifica l’approccio casistico e bilanciato della giurisprudenza di merito, volto a contemperare i diritti costituzionalmente garantiti dei genitori con il superiore interesse del minore  alla conservazione di legami affettivi stabili e continuativi  con entrambe le figure genitoriali. Dello stesso orientamento la pronuncia della Corte d’Appello di Catanzaro che con la sentenza n. 6/2024 ha stabilito che il trasferimento della residenza del genitore affidatario in un’altra città non costituisce di per sé un motivo ostativo all’affidamento. La decisione sottolinea infatti che spetta al giudice valutare, caso per caso, quale collocamento sia più funzionale all’interesse della prole, considerando esclusivamente la soluzione che vada a garantire il benessere e lo sviluppo equilibrato del bambino o della bambina. 


La regolamentazione innovativa del diritto di visita a distanza

Particolarmente apprezzabile è la disciplina dettagliata del diritto di visita elaborata dalla Corte che tiene conto delle specificità derivanti dalla distanza geografica tra le due abitazioni. Il regime previsto - primo, terzo ed eventuale quinto fine settimana del mese, con alternanza delle responsabilità di accompagnamento del minore tra i genitori- rappresenta un esempio di come il principio di bigenitorialità possa essere preservato anche in presenza di trasferimenti a notevole distanza. La previsione di videochiamate quotidiane di quindici minuti, inserite nella fascia oraria dedicata, dimostra come il diritto di famiglia si stia evolvendo e adattando alle moderne tecnologie di comunicazione, per mantenere e rafforzare i rapporti affettivi anche a distanza. Questa soluzione trova conferma anche nella giurisprudenza più recente, che ha riconosciuto l’importanza degli strumenti telematici nel garantire la continuità del rapporto tra genitore e figlio.  A tal proposito, la Cassazione Civile, con l’ordinanza n. 22083/2024, ha sottolineato che «il principio della bigenitorialità e della frequentazione paritaria tra genitore e figlio ha natura tendenziale e non assoluta. Il giudice di merito, nell’interesse morale e materiale del minore, può legittimamente disporre un assetto che si discosti dalla perfetta parità dei tempi di permanenza presso ciascun genitore».


La determinazione dell’assegno di mantenimento e la valutazione delle condizioni economiche

Sul fronte economico, la Corte d’Appello di Firenze ha mostrato particolare attenzione nell’analizzare le effettive disponibilità patrimoniali delle parti. Come previsto dall’articolo 337 ter del codice civile, la determinazione dell’assegno deve tenere conto delle esigenze attuali del minore, del tenore di vita vissuto durante la convivenza, dei tempi di permanenza presso ciascun genitore, delle risorse economiche di entrambi e del valore economico dei compiti domestici e di cura. La Corte ha adottato correttamente questi parametri, riconoscendo che la madre sosterrà maggiori oneri diretti per la cura del bambino e, di conseguenza, ha disposto un aumento della quota di mantenimento a carico del padre rispetto al passato. Questo incremento tiene anche conto dei maggiori costi che la madre dovrà sostenere per i trasferimenti del bambino legati al diritto di visita.


L’esercizio disgiunto della responsabilità genitoriale per le questioni di ordinaria amministrazione

Un altro aspetto molto interessante e innovativo della sentenza riguarda la possibilità di esercitare la responsabilità genitoriale in modo disgiunto per le questioni di ordinaria amministrazione, come previsto dal terzo comma dell’articolo 337 ter del codice civile.

Questa soluzione si rivela particolarmente adatta, soprattutto considerando la distanza geografica tra i genitori, che renderebbe complicato e poco pratico doversi consultare ogni volta su questioni di minore importanza. La distinzione tra decisioni di maggiore interesse, come quelle relative all’istruzione, alla salute o alla residenza del minore, che devono essere prese di comune accordo, e le questioni di ordinaria amministrazione, che possono essere gestite separatamente, rappresenta un equilibrio molto ragionevole.

In questo modo si evita di bloccare la gestione quotidiana del bambino, permettendo ai genitori di agire in modo più autonomo su questioni di routine, senza perdere di vista il principio fondamentale della bigenitorialità. La Suprema Corte, con l’ordinanza n.31571/2024, ha anche sottolineato che le decisioni più importanti, come quelle relative all’educazione, alla salute e alla residenza del minore, devono essere prese di comune accordo tra i genitori.  Tuttavia, per le questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino responsabilità in modo separato, favorendo così un percorso più pratico e funzionale per il benessere del bambino. Infine, la questione della compensazione totale delle spese processuali  ci porta a riflettere sulla natura assai particolare e delicata dei procedimenti di famiglia. In questi casi, l’obiettivo principale degli operatori del diritto non si limita semplicemente a stabilire chi ha ragione o torto, ma va molto oltre: si tratta di trovare la soluzione più adatta a tutelare al meglio l’interesse del minore. È un percorso che richiede un’attenzione particolare, perché coinvolge entrambi i genitori, che devono essere responsabili e collaborare per il bene del bambino. In sostanza, si tratta di un processo che mira a mettere al primo posto il benessere del minore, e in questo contesto, entrambi i genitori hanno un ruolo fondamentale e devono assumersi le proprie responsabilità.


Profili critici e considerazioni de iure condendo e la tutela dell’interesse superiore del minore nella giurisprudenza europea

Pur apprezzando l’impianto complessivo della decisione, è possibile individuare alcuni aspetti che meritano una

riflessione più profonda. In primo luogo, si può evidenziare la durata complessiva del procedimento, iniziato nel

2021 e conclusosi nel 2025, che mette in luce le criticità del sistema processuale in materia di famiglia. Questo

lasso di tempo, infatti, evidenzia come i tempi di definizione delle questioni siano spesso incompatibili con le

esigenze di tutela e di evoluzione dei bisogni dei minori. In secondo luogo, si può osservare come la gestione della conflittualità tra i genitori, attraverso un lungo periodo di affidamento ai servizi sociali, pur essendo

comprensibile nelle circostanze specifiche del caso, sollevi interrogativi circa l’efficacia di tale strumento anche

come soluzione temporanea. D’altra parte, la previsione di poter ricorrere a un coordinatore genitoriale scelto dai

genitori rappresenta senza dubbio un’alternativa più moderna e meno invasiva per la gestione dei conflitti tra le

parti, offrendo un approccio più flessibile e orientato alla collaborazione.

La decisione si inserisce inoltre nel più ampio contesto della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti

dell’Uomo, che ha progressivamente sviluppato il principio dell’interesse superiore del minore come criterio

fondamentale nelle decisioni che lo riguardano. In effetti, l’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo

tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare, ma richiede un bilanciamento attento tra i diritti dei

genitori e l’interesse del minore. In situazioni di conflitto tra le parti, la giurisprudenza europea tende a

privilegiare sempre l’interesse del minore, riconoscendo questa come la priorità assoluta nelle decisioni che lo

coinvolgono.

Ancora prima dei diritti dei genitori, il diritto alla bigenitorialità rappresenta un diritto del minore, come

evidenziato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, tra cui l’ordinanza n. 29690/2024. In questa pronuncia, si

afferma che tale diritto “deve essere necessariamente declinato attraverso criteri e modalità concrete dirette a realizzare il suo migliore interesse”, principio che non può essere mai trascurato o disatteso. Il principio dell’interesse superiore del minore costituisce quindi il criterio guida in tutte le decisioni che lo riguardano.

A conferma di ciò, si richiama anche l’ordinanza n. 197/2024 della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui “in

materia di affidamento e di collocamento dei minori, il criterio fondamentale è costituito dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole”. Questo principio impone di privilegiare la soluzione più idonea a ridurre al minimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e a favorire lo sviluppo equilibrato della personalità del

minore, richiedendo un giudizio prognostico sulla capacità di ciascun genitore di crescere ed educare il figlio nel

miglior modo possibile.

In sintesi, tutte queste pronunce sottolineano come il rispetto dell’interesse del minore  debba essere sempre al

centro delle decisioni, garantendo che ogni intervento sia orientato a favorire il suo benessere e la sua crescita

armoniosa.


Conclusioni

La sentenza della Corte d’Appello di Firenze oggetto di commento rappresenta dunque un contributo di grande rilievo all’evoluzione del diritto di famiglia, evidenziando come sia possibile trovare un equilibrio tra principi apparentemente in conflitto attraverso l’adozione di soluzioni innovative e mirate.  Questa decisione dimostra infatti che, pur rispettando le specificità del caso concreto, è possibile adottare approcci che tengano conto delle esigenze reali dei minori coinvolti, ponendo al centro della valutazione il loro interesse superiore. L’importanza di un’interpretazione flessibile e dinamica delle norme, che favorisca il rispetto dei diritti dei minori e la tutela della bigenitorialità, senza rinunciare alla tutela dei principi fondamentali del diritto di famiglia apre una strada verso un diritto più sensibile alle realtà quotidiane delle famiglie e alle esigenze di tutela dei soggetti più vulnerabili, contribuendo a un’evoluzione normativa e giurisprudenziale che mira a garantire il benessere e lo sviluppo equilibrato dei minori che non solo devono essere tutelati ma anche rispettati.


*Avv. Ylli Pace – Avv. Claudio Sansò

28 maggio 2024
CASS., SEZ. VI PEN., (data ud. 27/02/2024) 20/03/2024, n. 11724
Autore: SANSO' CLAUDIO 27 maggio 2024
La Cassazione con ordinanza n. 10264/2023 del 18 aprile 2023 ha sancito che l’ex coniuge separato, comproprietario dell’immobile adibito a casa coniugale, può ottenere il pagamento di un indennizzo da parte dell’altro coniuge che lo occupa in via esclusiva. E’ chiaro che il riferito immobile non deve essere stato oggetto di provvedimento di assegnazione in favore dell’altro coniuge, in quanto in tal caso l’uso esclusivo è legittimato da un provvedimento giudiziale. Per cui ha chiarito la Corte che per ottenere l’indennizzo legato all’uso esclusivo sono necessarie ulteriori condizioni quali: che la natura del bene di proprietà comune non ne permetta un simultaneo godimento da parte dei comproprietari, ad esempio quando non vi è avvicendamento con un uso turnario da parte dei comproprietari, in quanto non ne è impedito il godimento individuale; in secondo luogo è necessaria una richiesta formale di rilascio dell’immobile ovvero un istanza di utilizzo (anche turnario) o di ricevere una quota dei frutti non goduti. Da questo momento, tra l’altro, decorre il diritto all’indennità e non dall’emissione dei provvedimenti presidenziali o dalla sentenza di separazione.  Pertanto la Corte di Legittimità ha cassato con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che nel decidere la controversia si dovrò attenere al principio di diritto secondo cui “ in materia di comunione del diritto di proprietà, allorché per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non sia possibile un godimento diretto tale da consentire a ciascun partecipante alla comunione di fare parimenti uso della cosa comune, secondo quanto prescrive l’art. 1102 c.c., i comproprietari possono deliberarne l’uso indiretto. In mancanza di deliberazione, il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili con decorrenza dalla data in cui allo stesso perviene manifestazione di volontà degli altri comproprietari di avere un uso turnario o comunque di godere per la loro parte del bene”. Cassazione-civile-ordinanza-10264-2023 Avv. Claudio Sansò Presidente AMI Salerno – Coordinatore Nazionale AMI
Autore: SANSO' CLAUDIO 27 maggio 2024
Il Tribunale di Napoli concede il “divorzio” ad una coppia. Qualche tempo dopo la moglie deposita un ricorso mediante il quale chiede la modifica delle condizioni dettate dal Tribunale ed in particolare chiede di essere “autorizzata” a trasferirsi, per motivi lavorativi che dimostra, a vivere al nord, a circa 850 km di distanza, con i figli. Il Tribunale viste le prove dell’offerta lavorativa accoglie questa richiesta anche perché valuta “le inequivoche volontà espresse dai minori, intese come favorevoli al trasferimento, in particolare sulla volontà dei minori ha affermato: «atteso - i minori - sono parsi al giudice, che li ha ascoltati in presenza della Dr.ssa F.F. dell'UPP, hanno dichiarato entrambi di essere felici di trasferirsi a Pordenone, città che già conoscono per esservi stati spesso con la madre ed il suo compagno, di aver già visto le scuole presso le quali saranno iscritti, di essere certi del fatto che, in caso di loro disagio tornerebbero a Napoli, come promesso dalla madre, di non aver alcuna intenzione di sostituire il padre con la figura del compagno della madre, di essere certi di tornare a Napoli ogni qualvolta lo vorranno e che il padre potrà recarsi da loro senza alcun problema, di farsi portavoce anche della piccola sorella». Il marito della donna, papà dei 3 bambini della coppia, impugna in Corte di Appello il provvedimento. La Corte di Cassazione, I sezione, Presidente Francesco Antonio Genovese, evidenzia come “il trasferimento dei tre figli in località distante parecchi chilometri da quella di residenza del padre non potrà non essere di ostacolo alla frequentazione del genitore coi figli nonostante al primo sia stata riconosciuta la «facoltà di vederli e tenerli quando desidera». Infatti, la Corte di merito non ha valutato quella considerevole distanza tra le due città che non consente frequentazioni giornaliere, se non della durata di poche ore, ma al contrario solo visite di più giorni, data la notevole durata del viaggio. Tenendo poi conto che i figli frequentando la scuola, corsi sportivi, palestra, etc., non possono certo assentarsi troppo tempo dalla città di residenza, quantomeno nel lungo periodo scolastico, senza individuare idonee compensazioni. Il trasferimento potrebbe configurare una violazione del diritto alla bigenitorialità anche in quanto la Corte di merito non ha valutato in alcun modo la questione, limitandosi a riportare le dichiarazioni rese dai due fratelli. ma non risulta sia stata ascoltata la sorella più piccola. Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 21/03/2024) 07/05/2024, n. 12282 La Cassazione con ordinanza n. 10264/2023 del 18 aprile 2023 ha sancito che l’ex coniuge separato, comproprietario dell’immobile adibito a casa coniugale, può ottenere il pagamento di un indennizzo da parte dell’altro coniuge che lo occupa in via esclusiva. E’ chiaro che il riferito immobile non deve essere stato oggetto di provvedimento di assegnazione in favore dell’altro coniuge, in quanto in tal caso l’uso esclusivo è legittimato da un provvedimento giudiziale. Per cui ha chiarito la Corte che per ottenere l’indennizzo legato all’uso esclusivo sono necessarie ulteriori condizioni quali: che la natura del bene di proprietà comune non ne permetta un simultaneo godimento da parte dei comproprietari, ad esempio quando non vi è avvicendamento con un uso turnario da parte dei comproprietari, in quanto non ne è impedito il godimento individuale; in secondo luogo è necessaria una richiesta formale di rilascio dell’immobile ovvero un istanza di utilizzo (anche turnario) o di ricevere una quota dei frutti non goduti. Da questo momento, tra l’altro, decorre il diritto all’indennità e non dall’emissione dei provvedimenti presidenziali o dalla sentenza di separazione. Pertanto la Corte di Legittimità ha cassato con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che nel decidere la controversia si dovrò attenere al principio di diritto secondo cui “in materia di comunione del diritto di proprietà, allorché per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non sia possibile un godimento diretto tale da consentire a ciascun partecipante alla comunione di fare parimenti uso della cosa comune, secondo quanto prescrive l’art. 1102 c.c., i comproprietari possono deliberarne l’uso indiretto. In mancanza di deliberazione, il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili con decorrenza dalla data in cui allo stesso perviene manifestazione di volontà degli altri comproprietari di avere un uso turnario o comunque di godere per la loro parte del bene”. Avv. Claudio Sansò, Presidente AMI Salerno Fonte: https://www.ami-avvocati.it/?p=8770
27 maggio 2024
Per rispondere compiutamente alla questione afferente l’obbligatorietà del pagamento della rata mensile della scuola privata, in considerazione dello stato di temporanea chiusura dell’istituto a causa della pandemia in corso, è preliminare fornire un inquadramento normativo dell’istituto ad esso sotteso. In particolare, il detto rapporto contrattuale va qualificato come un contratto sinallagmatico a prestazioni corrispettive, ovvero in cui le prestazioni dovute dalle parti sono tra loro connesse, al punto che l'una costituisce il corrispettivo dell'altra. Infatti, nel caso della scuola, a fronte dell’obbligo della struttura di erogare il servizio scolastico, corrisponde l’ obbligo degli alunni di pagare la retta scolastica: tuttavia, in virtù della legittima chiusura (temporanea) dell’istituto, dettata, appunto, da una causa di forza maggiore quale quella della epidemia in corso (Coronavirus), che giustifica un mancato e/o diminuito adempimento di una obbligazione, può corrispondere l’altrettanto legittima sospensione del pagamento delle retta relativamente al periodo di chiusura. Tanto trova conforto nel disposto di cui all’art. 1256 c.c., a mente del quale «L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento... ». Ne consegue che, seguendo questo ragionamento, potrebbe validamente sostenersi che, a fronte della sussistenza di una causa non imputabile al debitore ex art. 1256 c.c, ovvero di un provvedimento governativo che ha imposto la chiusura delle scuole, la prestazione è divenuta impossibile. Altrimenti detto, il “factum principis” ossia l’ordine della autorità che vieta di effettuare la prestazione ha determinato, per la scuola debitrice, l’impossibilità di erogare il servizio, esonerandola dalla responsabilità contrattuale, nel senso che essa non sarà certamente tenuta ad alcun risarcimento di danni per la mancata fruizione del servizio. Tuttavia, trattandosi di contratto sinallagmatico, secondo cui, ex art. 1463 c.c.: «Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta , secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito», essendo specularmente divenuto inutilizzabile il servizio da parte dei creditori- alunni(essendo ad essi precluso l’accesso alle aule), la scuola non avrebbe alcun diritto a percepire l’importo della retta per il periodo in cui resta chiusa (e le somme eventualmente già versate quale corrispettivo per il periodo interessato dal “blocco” dovrebbero essere restituite). Nemmeno potrebbe parlarsi, nel caso di specie, di risoluzione definitiva del contratto, ma solo di momentanea sospensione (con esonero di entrambe le parti dall’adempimento delle rispettive prestazioni fino a che resterà in vigore il provvedimento inibitorio), atteso che l’impossibilità di eseguire la prestazione è da ritenersi temporanea, essendo prevedibile che la situazione da Covid-19 sia destinata a cessare, con conseguente ripresa delle attività finora precluse. Qualche dubbio sulla effettiva impossibilità di eseguire la prestazione da parte della scuola e dunque sulla completa liberazione da ogni responsabilità di natura contrattuale dell’istituto scolastico potrebbe però derivare dalla circostanza che, in effetti, il divieto di erogazione della prestazione di natura didattica non dovrebbe riguardare le attività svolte a mezzo gli strumenti informatici (cd. didattica on line). In realtà si potrebbe agevolmente sostenere, anche richiamandosi a quanto precisato da autorevole dottrina sul punto, che la scuola non sarebbe tenuta, per ovviare al factum principis, ad organizzarsi con la didattica on line (soprattutto se ciò comporta importanti esborsi economici); anche perché, d’altro canto, la prestazione promessa dall’ente scolastico prevede, di norma, un contatto diretto tra alunni ed insegnanti e lo svolgimento di attività in aula, cosa che , è effettivamente divenuta impossibile poiché non può (più) essere materialmente eseguita. Al più, la didattica on line potrebbe essere uno strumento alternativo con il quale le parti potrebbero ovviare all’emergenza, accordandosi sulla diversa modalità di erogazione del servizio e sulla conseguente ridefinizione dell’aspetto economico: ciò, sempre a patto che, le dette modalità alternative non fossero già state previste ed accettate al momento della nascita del rapporto contrattuale tra le parti.  In tale ultimo caso, infatti, non potrebbe validamente applicarsi l’art. 1463 cc e dunque non si potrebbe invocare la legittimità nella mancata corresponsione della retta scolastica, che dovrebbe invece essere corrisposta. Sarebbe opportuno dunque verificare quanto contenuto nel contratto ed eventualmente prendere accordi diretti con il dirigente scolastico al fine di trovare una soluzione che possa contemperare le esigenze comuni. Avv. Laura Fasulo
27 maggio 2024
Il diritto di visita dei figli, nel caso di coppie separate, divorziate o in fase disgregazione, non può dirsi sospeso, nemmeno nel periodo del Coronavirus. In particolare, con riferimento espresso al c.d. diritto di visita del genitore non collocatario della prole (rectius: alla regolamentazione dei tempi di permanenza del figlio presso ciascuno dei genitori) si era posto il quesito se gli spostamenti dei genitori per prendere e riportare i figli potessero considerarsi o meno necessari e dunque fossero o meno leciti. Ebbene, il Tribunale di Milano, sez. IX, 11 marzo 2020, Dott.ssa Piera Gasparini, ha avuto modo di pronunciarsi sul punto chiarendo che: “le previsioni di cui all'art. 1, comma 1, Lettera a), del DPCM. 8 marzo 2020 n. 11 non siano preclusive dell'attuazione delle disposizioni di affido e collocamento dei minori, laddove consentono gli spostamenti finalizzati a rientri presso la "residenza o il domicilio", sicchè alcuna "chiusura" di ambiti regionali può giustificare violazioni, in questo senso, di provvedimenti di separazione o divorzio vigenti;” “anche le FAQ diramate dalla Presidenza del CDM in data 10.3.2020 indicano al punto 13 che gli spostamenti per raggiungere i figli minori presso l'altro genitore o presso l'affidatario sono sempre consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione e divorzio.” Quindi, i genitori, e più di frequente le madri, dovrebbero permettere il normale alternarsi dei figli, secondo quanto statuito nel provvedimento giudiziario. Ovviamente, chiarito che i genitori non collocatari (quasi sempre i padri), in virtù di quanto sopra, sarebbero comunque legittimati a continuare a vedere i figli ed a tenerli con sé secondo quando già disposto ius iudicis, il problema più spinoso è quello di coniugare le dette disposizioni con il buon senso, che è la regola che dovrebbe sempre prevalere, a maggior ragione in un simile momento storico. Pur essendo più che comprensibile anche il desiderio dell’altro genitore di voler trascorrere più tempo possibile con il proprio figlio, non bisognerebbe ostinarsi nel voler far mettere in esecuzione, a tutti i costi, quanto statuito, in punto di diritto di visita, nel provvedimento giudiziario di cui si dispone, atteso che di mezzo c’è la salute dei propri figli, soprattutto laddove si è nell’impossibilità di garantire il rispetto di precise prescrizioni a loro tutela. Ispirandosi a criteri di maggiore ragionevolezza, si potrebbe proporre, ad esempio, all’altro genitore, di modificare temporaneamente il calendario vigente, accorpando i tempi di visita del figlio, in periodi più consistenti, di modo da ridurre il via-vai frequente e gli spostamenti del minore con il genitore non collocatario e, di conseguenza, i rischi del contagio. Tuttavia, è fondamentale adottare comunque ogni forma di cautela che possa prevenire ogni potenziale rischio di esporre i minori ad un contagio (tra cui evitare gli spostamenti con mezzi pubblici oppure evitarli o limitarli quando le residenze tra i due genitori si trovano a considerevoli distanze geografiche; evitare il contatto tra i minori e i nonni, soggetti chiaramente più vulnerabili o dunque maggiormente suscettibili di essere contagiati; evitare contatti con altri soggetti maggiormente esposti al rischio di contrarre il Covid-19; cercare di garantire il rispetto delle distanze di sicurezza con gli altri componenti il nucleo familiare del genitore non collocatario). Di segno parzialmente contrario a quanto disposto dal Tribunale di Milano, l’ordinanza del Tribunale di Bari del 26 marzo 2020, con la quale, in un caso in cui, su istanza della madre(genitore collocatario), era stata chiesta la sospensione degli incontri tra padre e minore(abitanti in due comuni diversi), è stato ritenuto opportuno interrompere, fino al termine del 3 aprile 2020 (indicato nei predetti DD.PP.CC.MM.), le visite paterne, stabilendo l’opportunità di esercitare il diritto di visita paterno attraverso lo strumento della videochiamata o Skype, per periodi di tempo uguali a quelli fissati, e secondo il medesimo calendario. Ciò, sulla base delle seguenti considerazioni: gli incontri tra figli minori e genitori che dimorano in due comuni diversi non sono rispondenti alle condizioni di sicurezza e prudenza, previste dai vari DD.PP.CC.MM. Infatti, se che lo scopo della normativa è la limitazione dei movimenti sul territorio (compresi gli spostamenti da un comune ad un altro) al fine di contenere il contagio, a questa devono attenersi tutti i cittadini, compresi i minori. non è verificabile se, durante gli incontri con il padre, il minore sia stato esposto a rischio sanitario, con possibilità di contagio al suo rientro; nell’attuale periodo di emergenza, il diritto-dovere dei genitori e dei figli minori di incontrarsi è recessivo rispetto alle limitazioni alla circolazione delle persone, legalmente stabilite per ragioni sanitarie(art. 16 Cost.) e rispetto al diritto alla salute (art. 32 Cost.) Da quanto sin qui evidenziato potrebbe essere più opportuno, dunque, decidere di sospendere il diritto di visita del figlio ed affidarsi esclusivamente ai mezzi tecnologici che, comunque, in un momento così delicato come quello che stiamo vivendo, aiutano a mantenere un contatto, si auspica quotidiano, tra il minore ed il genitore non collocatario, ed a far sentire tutti meno distanti e meno soli. Sarebbe comunque una soluzione praticabile laddove non si fosse costretti a ricorrervi per un periodo particolarmente prolungato. E’ pur vero che ogni caso è a diverso e richiede una sua autonoma valutazione, soprattutto per tutelare il diritto alla bigenitorialità da un lato ed il diritto alla salute dall’altro. Tuttavia, se è necessario il buon senso del non collocatario, è fondamentale che vi sia la collaborazione anche dell’altro, il quale dovrà cooperare in tal senso, spiegando al figlio il perché il genitore non si rechi a prenderlo e favorire i detti contatti. Diversamente, sarà tutto più difficile.  Avv. Laura Fasulo
Autore: SANSO' CLAUDIO 27 maggio 2024
La Corte di Cassazione con l’ultimo pronunciamento (sent. n. 18287/19 dell’11.06.2019) ha ribadito che l’assegno divorzile spetta solo in particolari casi e non dipende certamente dalla differenza di reddito fra i coniugi. Oramai è chiara ed univoca la direttrice giurisprudenziale degli Ermellini, anche alla luce delle Sezioni Unite dello scorso anno, ossia il rifiuto, anche in presenza di un sostanziale divario di reddito con l’ex partner, salvo che vengano dimostrate condizioni economiche e sociali particolari che non ne facciano venire meno i presupposti. In pratica il coniuge richiedente dovrà dimostrare che la mancanza di mezzi di sostentamento dipendono da fattori esterni al matrimonio, quali ad esempio l’età, le condizioni di salute o l’aver fatto per anni la casalinga per cui si è rimasti lontani dal mondo del lavoro. Come giusto che sia l’onere della prova, inerente a queste condizioni, è completamente ad appannaggio del deducente. Cosicché Il divario fra i redditi dei coniugi non è più di per sé determinante per far scaturire l’assegno divorzile. Pertanto anche un coniuge senza reddito potrebbe non avere più diritto a nulla dopo il divorzio, soprattutto se è ancora giovane per poter cercare lavoro, oppure non ha dato prova che l’assenza di reddito e di occupazione sono dovute a circostanze esterne come la salute o l’impossibilità di trovare un posto di lavoro. E ancora, il diritto sfuma qualora la durata del matrimonio è molto breve. Avv. Claudio Sansò
Autore: SANSO' CLAUDIO 27 maggio 2024
Numerose le criticità segnalate dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza ascoltata oggi dalla commissione Giustizia del Senato sui disegni di legge in materia di affido condiviso. “No a una divisione predeterminata del tempo da trascorrere con i genitori – afferma la Garante Filomena Albano – ogni separazione è una storia a sé e l’interesse dei figli va valutato caso per caso, tenendo conto della singola situazione e in relazione alle fasi della crescita”. “Bisogna mettere al centro dell’attenzione prima i figli e dopo le esigenze dei genitori”. È questo, in sintesi, il messaggio lanciato dall’Autorità garante. “La bi-genitorialità è il diritto dei bambini e dei ragazzi ad avere una relazione piena, armoniosa, prevedibile e costante con entrambi i genitori. Per gli adulti è responsabilità e attenzione alle reali esigenze dei figli in crescita. L’amore non si misura con il tempo, ma con la cura e l’attenzione”. Quanto al mantenimento in forma diretta, la Garante Albano evidenzia che “si rischia di mettere in evidenza la disparità economica tra genitori nei periodi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro, con inevitabili ripercussioni sull’esistenza del figlio e sulla qualità della relazione genitoriale”. “Nei casi di rifiuto da parte del figlio di vedere un genitore – osserva ancora Filomena Albano – occorre indagarne le ragioni in relazione alla complessità di ogni singola situazione”. Perplessità sono espresse anche in relazione al doppio domicilio, all’intervento dei nonni nel procedimento e alla videoregistrazione obbligatoria dell’ascolto dei minorenni nel corso del procedimento di separazione. “Potrebbe determinare un danno all’equilibrio personale ed affettivo del ragazzo, aggravato dalla possibilità delle parti di porgli domande” dice Filomena Albano. La mediazione, secondo l’Autorità garante, va incentivata. “Ma non può essere pensata in forma obbligatoria perché è un percorso libero, partecipato, riservato e intimo che può essere efficace solo laddove i genitori prestino liberamente il proprio consenso a ricorrervi. Nell’ottica di promuovere la cultura della mediazione si potrebbe prevedere l’obbligatorietà di un primo incontro informativo”. Avv. Claudio Sansò
Autore: SANSO' CLAUDIO 27 maggio 2024
Il Consiglio Nazionale Forense con la Commissione Famiglia e le associazioni del settore hanno messo in campo le linee guida per la regolamentazione delle modalità di mantenimento dei figli nelle cause di diritto familiare. Il 29 novembre 2017 tali linee guida sono state diffuse presso tutti gli ordini di avvocati d’Italia. Il tutto prende piede dalla riforma del titolo IX capi I e II, del libro primo del codice civile, che ha determinato un sostanziale mutamento nei rapporti di filiazione e familiari e si è provveduto ad effettuare una ripartizione tra le spese correnti della famiglia, in particolare quelle che rientrano nel mantenimento ordinario e quelle straordinarie, che rappresenta uno dei maggiori motivi di attrito tra i genitori in crisi coniugale. Avv. Claudio Sansò
Autore: SANSO' CLAUDIO 27 maggio 2024
Con l'ordinanza n. 25074/2017 del 23 ottobre 2017 i giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso di un uomo che aveva chiesto la revoca dell’assegno di mantenimento attribuito in favore della ex moglie. L’ex coniuge aveva intrapreso l’azione giudiziale partendo dal presupposto che la ex consorte avesse intrapreso una convivenza con un nuovo partner. I giudici della Suprema Corte hanno chiarito che la domanda non fosse fondata in quanto nel corso del giudizio di merito non era stata provata la circostanza la nuova relazione intrapresa dalla moglie avesse i connotati di una famiglia di fatto, tale da legittimare il venir meno dell'assegno. La Corte, ratificando la decisione di secondo grado, ha precisato che "la dimostrazione dell'instaurazione da parte del coniuge beneficiario di un nuovo rapporto familiare che assuma i suddetti connotati spetta, in linea di principio, al coniuge onerato, come fatto estintivo del diritto all'assegno divorzile". Avv. Claudio Sansò 
Autore: SANSO' CLAUDIO 27 maggio 2024
Con sentenza della Cassazione n. 25166/17 del 24.10.2017 gli ermellini hanno chiarito che nel caso di riduzione dell’assegno di mantenimento, ottenuta a seguito di una pronuncia di modifica, la decorrenza della diminuzione dell’assegno decorre dal momento della pubblicazione della sentenza che ne varia la misura. Non è quindi possibile chiedere il rimborso di quanto percepito dal titolare durante l’iter della causa. Si avrà la portata retroattiva, per il solo assegno di mantenimento al coniuge, soltanto se è dimostrato che l’evento che modifica le condizioni reddituali dei coniugi si è verificato prima della proposizione del ricorso (Cass. ord. 0787/17 del 3.05.2017). Avv. Claudio Sansò
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